Assenze

È passato un anno.
Dalla tua morte e da quando l’ho saputo. Erano giorni che stavo appesa al wifi, nei modi rocamboleschi in cui si può essere appesi quando si è dall’altra parte del mondo. Ricordo benissimo quando Elisa mi ha detto che eri sprofondato in un sonno senza ritorno. Che il tuo respiro era però sereno. Che ti erano vicino. Che ti sussurravano all’orecchio che ti volevamo bene, tutti quanti. E io ero appesa a questo filo, e mi chiedevo il peso dell’esserci e del non esserci quando dobbiamo andare, se ci sentivi davvero, se eri sereno davvero. Joe dormiva buttato su una fila metallica di sedie di un gate qualunque dell’aeroporto deserto di Ho Chi Minh. Fuori il cielo era pesante, livido; ogni luce era appesantita dalla pioggia battente. Eravamo da soli, spersi in un non luogo, sospesi nel tempo e nell’attesa. Di partire, di sapere. Ero da sola, a camminare avanti e indietro per la paura che il nostro volo non partisse, che la notte inghiottisse anche noi, oltre a te. Ripetevo a me stessa istruzioni pratiche: cambiare scheda telefonica, trovare soldi nuovi, trovare tuk tuk, arrivare in albergo, connettermi. Una notte interminabile, fisica, piena di niente. Mi faceva paura. Una paura condita dal senso di colpa. Stavo per arrivare in uno dei luoghi che avevo sognato da sempre, con il cuore gonfio di dolore. Siamo saliti su un volo semivuoto, siamo atterrati in una notte caldissima e silenziosa, Chan ci aspettava fuori con il Tuk Tuk, i vestiti si attaccavano addosso per il vento umido. Visioni in penombra, pensieri, fame, sonno, sete.
Quando finalmente mi sono addormentata, quella sera piovosa e calda, ero in un nuovo altrove.
Non sapevo ancora, lo avrei saputo il mattino dopo. Ma ti ho sognato, quella notte. Ho sognato che eravamo tutti a tavola. Stavi bene. Senza ferite, senza menomazioni, senza dolore. Ridevi forte, sorridevi. Mi sono svegliata con la notizia che te ne eri andato. E ora so per certo che in quel sogno, eri venuto a salutarmi. Avrai pensato che ti avevo fatto fare una faticaccia, tu che non amavi quasi più uscire di casa. Ti avevo costretto a venire fino in Cambogia per il nostro addio.

Il giorno dopo camminavo tra le radici secolari degli alberi immensi che imprigionano i templi di Angkor. Silenzio, verde, quiete. Mentre eravamo in bilico sulle pietre calde di un tempio, abbiamo trovato delle bacchette di incenso e un piccolo altare. Uno di quelli disseminati ovunque, dedicati a Buddha, dedicati agli uomini.
Ci siamo guardati, ne abbiamo accesi due. In silenzio, mentre Joe fumava una sigaretta, seduto sul bordo di un tempio nella giungla dall’altra parte del mondo, abbiamo aspettato che si spegnessero, piano. Con le mani giunte, con la natura immensa e immortale innanzi a noi, ti abbiamo salutato a nostro modo.
Poi siamo tornati e c’è stato tutto il resto. Veloce, doloroso, a suo modo inevitabile e necessario.

È passato un anno.
Remedios ha imparato a nuotare, zio. Fa anche i tuffi sotto l’acqua senza bere (quasi mai).
Ettore ha una carrozzina nuova fiammante, la chiamiamo “spider”, e in effetti è un prodigio come lui che ride tantissimo in particolare quando butta via gli oggetti che ha imparato ad afferrare.
Adora la musica come te, ti renderà orgoglioso.
Sister si è fatta due tatuaggi bellissimi, madonna quante discussioni avremmo fatto su questo tema con te.
Papà costruisce circhi volanti in salotto, appendendo pupazzi al lampadario: che te lo dico a fare, lo conosci, fa quello che faceva con noi, al cubo.
Mamma ha fatto la bagna cauda per la prima volta dopo 40 anni. Ho pensato che quando si rompe qualcosa, si aggiusta qualcos’altro, per compensazione. L’abbiamo dedicata a te, e abbiamo stappato un tuo barolo del ’75. Non ti offendere, era ora di farlo. E tu ci hai sempre detto che le cose vanno vissute, godute. Ti abbiamo preso alla lettera. Le manchi tanto, più di quanto tu possa immaginare.
Joe ha restaurato il comò della nonna e già che c’era pure quello di Coassolo. Stravede per il tuo libro “come aggiustare tutto”, hai creato un mostro.
Abbiamo regalato i tuoi libri alla biblioteca della città della salute e ai detenuti del carcere di Saluzzo. Glieli abbiamo portati io e papà una mattina piovosa d’autunno… che se il carcere è triste, pensa con la pioggia e la nebbia… Hanno fatto mettere una piccola targa per te, e hanno riso sommessamente quando ho detto timidamente che tu amavi i legal thriller e i libri di squartamenti vari.
Io ho organizzato un festival culturale, ho finalmente pubblicato il libro su Cuba, ho pianto abbastanza, riso molto, ho cercato il mare tutte le volte che ho potuto.
Solo l’inglese non l’ho ancora imparato bene, e con la chitarra va ancora così così. La suono sempre e solo il 6 di gennaio, dopo i propositi di rito di ogni inizio d’anno.
Ah, Salvini è andato al governo. È ministro dell’interno ma sembra il premier. Non avrei mai pensato di dirlo, ma rimpiango le nostre discussioni su Silvio. Non ridere ti prego. Anzi, ridi va, che ne abbiamo bisogno quaggiù.
La tua Alfa Sport a è ancora in garage. Forse riusciamo a farla rivivere, stiamo pensando a come fare. Se penso a quando ci incastravi dentro la nonna con la pelliccia e le scarpe da tennis, ancora rido tantissimo da sola.
E ti penso.
Non è passato un giorno senza che io ti abbia pensato, zione.
Non è passato giorno senza che tu mi sia mancato.
Ma so che in fondo lo sai anche tu.Angkor