Vota Antonio! Vota Antonio!

Fondazione Istituto Piemontese Antonio Gramsci

Quest’anno non sono andata a votare. Per due volte. Non è stata una scelta volontaria, ma una casualità dettata da assenze programmate. Nel primo caso, quello del referendum sulla deroga delle concessioni alla trivellazione delle piattaforme, avrei saputo cosa votare, e sarebbe stato sì. Invece al secondo appuntamento elettorale sarei arrivata impreparata. Si dice che l’astensionismo storicamente e statisticamente colpisca il partito al governo, di qualunque segno sia. Forse un po’ è vero. Si tende a vedere la magagna e non quello che è stato fatto, o si è tentato di fare. Il mio imbarazzo derivava dal fatto che il non riconoscermi in un candidato, non riconoscermi pienamente nel suo gruppo dirigente, nei suoi meccanismi ancora troppo legati a un modo nauseante di fare politica ed essere politica, non erano e non sono stati fattori sufficienti per votare i suoi avversari, di cui pochissimo condivido, se non l’idea che l’alternanza è sinonimo di salute.

Mi dispiace, perché invece qualche candidato al consiglio comunale l’avrei votato, eccome. Sarebbe stata una donna, in particolare, sarebbe stata Chiara Foglietta, che continua il percorso intrapreso da Ilda Curti, un’altra donna coraggiosa che stimo e che ha interpretato quello che mi piace pensare debba essere la politica: vicina alle persone, coraggiosa, aperta, pulita, capace di coraggio e di prese di posizione, anche scomode, aperta al dialogo ma ferma sui principi.

Ancora mi sento nel limbo, ora che il ballottaggio si avvicina. Mi turbinano in testa le idee di tutti gli altri, e le mie faticano a trovare spazio.

Così vado a ritroso, a cercare ragioni e motivazioni. Cadeva il settantesimo, qualche giorno fa, del voto alle donne, del voto tra monarchia e repubblica, della Costituente da cui è nata la carta che tutti ci protegge e che molto oggi viene bistrattata.
Intanto provo a ripartire da lì. E già che ci sono, guardatelo anche voi, questo “lì”. Lo trovate in rete, sotto forma di Tour Digitale sulla fondazione della Repubblica, sul sito del Polo del ‘900. E dato che i testi di questo viaggio narrativo li ho scritti io, insieme a quelli sulle conquiste delle donne, sulla lotta di Liberazione e sulle tappe storiche della legislazione sul lavoro, spero che sia di buon auspicio per i tempi che verranno.

TourDigitale_Repubblica

La vita trasuda dalla pelle

foto: Davide Dutto

Non si può descrivere, ha ragione Maurizio.

Non si può descrivere la gioia di chiudersi un incubo dietro alle spalle.

Non si può descrivere la goia di avere di nuovo un cielo sopra le testa, un prato sotto le scarpe, un futuro negli occhi.

Non si può descrivere la paura che sia finto, che non sia vero, che ti stiano prendendo un giro.

Che esci, portandoti dietro due calzini spaiati, che ti vengono le lacrime, che quasi ti vergogni, ad andartene.

E la gioia, la gioia di stare seduto su quella panca che hai immaginato, davanti al laghetto fuori dalle mura. Quel laghetto e quella panca su cui si è seduto tuo fratello gemello quando ti veniva a trovare, quella panca su cui mi sono sdraiata anche io, tante volte, in questi anni, a cercare il sole sulla pelle prima di rientrare, a respirare il Monviso che ci sovrastava. Quel laghetto è un pausa di vita, è una parentesi tra compartimenti stagni, è sole e acqua e legno e odori e insalata che stanno tra una chiave e un domani.

E no, non si può descrivere, ma ci si può provare, a parlare del cuore che balza quando suona il telefono e sai, perché lo sai, lo aspetti, hai aspettato tutta la notte e tutta la mattina questa notizia che ti spaccherà il cuore dalla goia.

Che non è vero che seminare non serve, che la gramigna soffoca le piante deboli. Nel prato c’è spazio, nella terra c’è spazio, basta saper aspettare, basta essere tenaci, caparbi, puliti, folli.

E Maurizio è una pianta che forse rinascerà due volte. Maurizio che oggi mi ha chiamata con le lacrime per dirmi grazie e dirmi tu non sai e dirmi non ci credo e dirmi venite a trovarmi e dirmi voi non potete sapere cosa avete rappresentato per me, per noi, ogni lunedì in questi due anni ad aspettarvi dalla finestra e a salutarvi.

È vero. Forse non lo so, e non lo saprò mai. Ma chi ha varcato quella soglia sa che dietro c’è anche umanità, oltre a tutto il resto. E se ti concentri su quella umanità, se la riconosci, la accogli, se accetti la sfida difficile e tremenda di metterti in discussione, insieme alle tue certezze, forse quel prato, quella terra, quel seme, un po’ di spazio per ricrescere lo troveranno.

Ognuno sceglie come vivere, e non sta a me dire se Maurizio vivrà bene, o vivrà male, questa sua seconda nascita. Mi auguro per lui che possa tornare a sventolare presto la bandiera della sua Samp allo stadio. Perché sono le passioni a tenere vive le persone.

Ma posso dire che la gioia che prova oggi è la stessa che provo io, e anche se non ci riesco provo lo stesso a raccontarla così, perché scrivere è quello che so fare, e se passa qualche emozione, anche solo un piccolo brandello, avrò seminato anche per me.

[foto: Davide Dutto]

Gli archivi e le storie nella storia

 

Archivi digitali 2.0

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Comunicare non fa la differenza. Avere una storia da raccontare sì
L’archivio è un bene culturale da conservare, gestire, comunicare, è memoria e lascito per le generazioni future.
Valorizzare la storia dell’archivio significa infatti custodire in modo “attivo” un bene culturale di rilevanza nazionale, salvaguardandone il valore storico.
Comunicare però non fa la differenza, avere una storia da raccontare sì.
Perché è attraverso il riconoscimento di percorsi collettivi (storici, culturali, artistici), capaci di parlare alle diverse comunità che si possono radicare processi identitari condivisi. Per questo la piattaforma di Archiui sostiene e affianca gli enti, i musei, le istituzioni nel processo di valorizzazione dei propri archivi, aiutandoli a conferire importanza strategica al sapere custodito.

Come?
Attraverso la creazione di percorsi narrativi digitali, tramite cui connettere i documenti conservati in ogni archivio alla storia che li ha generati: una storia fatta di volti, luoghi, snodi epocali in cui a parlare in prima persona sono proprio i materiali catalogati. Fotografie, carteggi, mappe, bozzetti, tessuti, video diventano quindi gli elementi cardine di una trama nuova, digitale e multimediale, tasselli di una storia da narrare.

La piattaforma di Archiui non si ferma qui però. Sulla scia di alcune esperienze virtuose già diffuse, Archiui ha previsto l’implementazione dei Tour digitali creati autonomamente da ogni ente su una piattaforma collettiva: memoriedigitali.it.

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Il riferimento principale è sicuramente quello del modello predisposto da Google con il portale Google Cultural Institute, che raccoglie in un vero e proprio museo virtuale milioni di oggetti digitali provenienti dalle collezioni dei soggetti partner, insieme alla narrazione dell’ente e alle informazioni di collocazione dell’oggetto esplorato. Memorie Digitali risponde di fatto a un bisogno diffuso di promozione e visibilità degli enti coinvolti, offrendo agli archivi una nuova vetrina e agli utenti una possibilità aggiuntiva di fruizione dei patrimoni culturali rappresentati dai documenti.
In concreto, Memorie Digitali aiuta tutti i piccoli soggetti e le medie realtà a trovare una dimensione pubblica e comunicativa su scala più ampia.

Come funzionerà?
Ogni tour digitale realizzato sui rispettivi siti di Archiui potrà essere riversato nel portale memoriedigitali.it.
Gli utenti che vorranno consultare le collezioni riversate, tramite un click, verranno reindirizzati sui siti dei rispettivi archivi, alimentando così traffico per gli enti proprietari delle collezioni.
Ogni immagine, documento, video riversato costituirà un “mattoncino” con cui gli utenti della piattaforma potranno costruire nuovi percorsi di senso, usando i materiali dei diversi archivi che in questo modo concorreranno ad alimentare un patrimonio collettivo. Ogni oggetto porterà con sé la sua descrizione; cliccando sull’immagine, verrà visualizzata la foglia dell’archivio, elemento centrale ai fini della promozione e della conoscenza dell’archivio di appartenenza.

Memorie Digitali permette dunque di:

– esplorare online documenti spesso inediti, ricostruendo percorsi di conoscenza sulla vita degli enti, sugli snodi industriali, sociali e culturali del paese
– fruire una storia fatta di storie, attraverso fotografie, video, documenti
– narrare storie nuove a partire dai materiali raccolti e custoditi, creando collezioni personalizzate.

Memorie Digitali si pone i seguenti obiettivi:

1) valorizzazione delle esperienze dei singoli musei, enti, istituzioni e visibilità presso un pubblico diverso e potenzialmente più ampio degli addetti di settore, investendo nella riconoscibilità del patrimonio del singolo ente
2) valorizzazione dei documenti noti e meno noti e dei percorsi di conoscenza trasversali a diversi archivi, alimentando un processo orizzontale di condivisione del sapere
3) personalizzazione dei percorsi di approfondimento attraverso la costruzione di una “propria” collezione basata sui materiali disponibili, alimentata dalla ricchezza custodita negli archivi digitali.

Memorie Digitali e la formazione
Partecipare al processo di creazione di nuovi percorsi di conoscenza dei patrimoni e della storia sociale e culturale del paese significa anche contribuire alla diffusione della cultura scientifica e digitale nelle scuole e nei processi formativi. La promozione delle eccellenze negli archivi fornirà alle istituzioni scolastiche la possibilità di implementare nuovi strumenti per l’ideazione di progetti ad hoc.

Attraverso il portale, documenti, immagini e collezioni, potranno essere fruiti e rielaborati senza oneri dalla comunità scolastica e opportunamente integrati nell`attività educativa e di insegnamento, attraverso un’esplorazione avanzata e originale.

Il digitale e l’uso delle tecnologie sono intesi dunque come elementi di supporto alla didattica tradizionale. Interrogare gli archivi e le collezioni creerà un dialogo con il visitatore, connettendo il passato con la voce contemporanea e ponendo le basi per un nuovo modello di collaborazione fra scuola, università e lavoro.

Questa è la traccia del mio intervento al convegno “Open (re)source. Archivi digitali 2.0” (Torino, Piccolo Regio, 9 giugno 2016).

McCurry, photoshop e l’India

Magnum Photos, NYC5903, MCS1983002 K201 "Trying to tell India's story in pictures, I spent time in it's stations, watching the swirl of life each time a train pulls in. People endlessly wait, they camp out in the stations, good and services are exchanged. Cha-wallahs ply the carriages with their wares. Cows and monkeys forage for food. The entrance halls reverberate as passengers compete for tickets-the clamor of crowds is a constant assault on the senses. I was working an magazine assignment on a train journey across South Asia and by chance was walking down the track from Agra Fort Station. I was amazed to see the Taj in back of this enormous rail yard so I waited and suddenly they started moving these steam locomotives in front of the Taj. India's stations are a microcosm of the country beyond. Here in the commotion of travel, you can feel the continuity between past and present." "This photograph recorded in 1983 the contrast between a mighty technology - the steam locomotive - and the transcendent aesthetic of the Taj Mahal, with its light-reflecting surface. The steam engine, once an important symbol of indian national culture, is now a thing of the past. So in addition to staging a powerful rhetoric, McCurry's photograph captures a lost moment in culture. Even the tracks near the Taj Mahal have now been removed. The character of McCurry's work, then, lies in the power of its record and its rhetoric. The photograph of engine set against architectural spender holds fast an idea - a way of thinking about contrast and culture that can be carried forward to other images in other times." - Phaidon 55 Bannon, Anthony.(2005).New York: Phaidon Press Inc., 7. National Geographic: Paul Theroux. (June 1984). By rail across the Indian subcontinent, National Geographic (165(6)), 696-743. *See caption in back of book 55, final book_iconic, final print_milan The Imperial Way_book South Southeast_Book Iconic_Book Untold_book

È di questi giorni la polemica (ad esempio qui e qui) di uno scatto di Steve Mc Curry, esposto nella mostra a lui dedicata ed esposta a Venaria.  Uno scatto malamente photoshoppato. È una istantanea di Cuba del 2014 in cui, effettivamente in modo poco professionale, alcuni particolari sono stati modificati senza cura di sistemare il risultato. Il più rumoreggiato tra gli interventi è davvero infelice: un palo che al posto di scomparire, ricompare tra le gambe di un uomo che cammina.

Immagino, e molto ne ho letto, che l’intento fosse proprio eliminare la sovrapposizione tra palo e uomo. Secondo me e secondo molti, lo spostamento, così come gli altri interventi, nulla tolgono e nulla aggiungono all’immagine – a dire il vero ora ne tolgono, ma perché sono fatti male.  Voglio dire, l’immagine resta evocativa, l’istante è calibrato nello stesso modo, l’intervento non ha modificato la “natura” di quello che nella mente e negli occhi McCurry, c’era.

Perché allora ne scrivo?

Perché non mi piacciono le polemiche ma mi piacciono moltissimo le questioni di principio. Perché il tema si presta a una riflessione sull’arte, e sulla visione, e sulla particolarità dello sguardo umano.
Sulla vicenda in sé ho poco da dire: apprezzo Mc Curry e non sono una fotografa,  né un grafico, ma conosco e lavoro con molti fotografi, e molti grafici. E so che photoshop è parte integrante del lavoro degli uni e degli altri. Stop.
Il tema centrale dunque non è se la foto è “naturale”, o “modificata”. Il mio amico Davide Dutto, apprezzato fotografo, non credo abbia mai scattato una foto senza averne fatto una post produzione. Anzi, a volte pure una pre produzione: quando andiamo in giro insieme, anche un solo scatto con il telefonino è pensato “modificato”: con i filtri, con la saturazione, con le ombre. Siamo di fronte al Monviso, ma non lo vediamo nello stesso modo. È meglio il mio, il suo? È meglio quello che vede l’automobilista davanti a noi?

Il punto è che la fotografia ha smesso di essere ripresa fedele della realtà nel momento in cui è diventata arte. E arte significa vedere il mondo filtrato da un’idea, un’emozione, un’anima, tendenzialmente la propria, e quindi personale, e quindi unica, e quindi comunicabile solo in quanto prodotto di un meccanismo irripetibile.
A meno che Mc Curry non dovesse fotografare un’infrazione automobilistica o un furto con scasso, il fatto che ci fosse o meno il palo è irrilevante.
Quello che è rilevante è perché lui abbia scelto di fermare quell’istante, o di costruirlo come un proscenio, per trasmetterci un’emozione, un senso, un’idea.
La sua.

Perché il senso dell’arte è anche di produrre un senso a prescindere dall’intenzione dell’autore. Un senso diverso, altro, proprio di chi guarda. Un’emozione fatta di percorsi di visione ed esperienze di lettura, di mondi e di suggestioni, di vite distinte.
Io vedo e leggo e interpreto e capisco in virtù di quello che sono stata e che sono.

È la ricchezza dell’essere umani, è l’imperfezione dell’essere umani.

Mc Curry scattò la foto che vedete lassù in alto nel 1983. È una foto che io amo molto, perché Steve ha fotografato un istante irripetibile. Perché i binari davanti al Taj Mahal oggi non ci sono più, perché non esistono più quelle locomotive, perché oggi, nello stesso punto, nello stesso scorcio, nessuno potrebbe osservare quella scena. L’India di Mc Curry vive in quello scatto, il nostro ricordo è costruito tramite quello scatto. La storia di un passaggio umano, di un qui ed ora, vive in quella foto.

Quello che importa è la capacità visionaria di chi ha scattato la foto, e il significato che il corso della storia gli ha dato ai nostri occhi.
Il resto è polemica da bar di periferia, è lana caprina un po’ puzzona, e pure un po’ di invidia.

((Nel senso, e qui chiudo, non conta saper riprodurre la Fontana di Duchamp. Conta averlo fatto la prima volta)).

Boris o lo strano caso del maiale giallo

Boris

Prima è apparso sul treno Milano – Torino.
Poi sul Colophon.
E infine è diventato un libro, insieme ad altre cose.

Adesso potete comprarlo un po’ dove volete… e sapere come è andata davvero la storia del maiale giallo e altre vicende.

Se siete curiosi e non potete attendere la carta, che verrà, perché arriva sempre, cliccate qui e qui e qui … buona lettura.