Ho sempre odiato il billy, la scatoletta di tetrapack al sapore (flebile) d’arancia che andava di moda nella mia infanzia. L’odio si estendeva a tutti gli scatolotti affini, senza discriminazione di gusto o di marca, di contenuto o contenente, di sostanza o simbolo.
Succhi di frutta sottocosto o estathé, il mio era un disgusto chimico, egualitario e democratico.
Però ho amato moltissimo le cannucce.
Negli anni ho imparato a seguirne i percorsi evolutivi, gli adattamenti funzionali e morfologici.
La cannuccia non ha estetica, non vi fate distrarre dai colori. La cannuccia è sostanza. Dai rigidi tubolari cilindrici di formato mignon a quelli a due colori con il taglio obliquo sul lato che perforerà la pellicola dello scatolotto, dalla curva rigida per favorire la suzione al morbido soffietto.
La cannuccia è un miracolo di ingegno. Confesso che ancora oggi, d’estate, mi scopro ad acquistare almeno un succhino, ad aprirne la plastica della cannuccia e a scrutarne lo stato di avanzamento.
Non ho mai pensato che l’innovazione tecnologica passasse da qui.
Ma da sempre mi piace pensare al laboratorio di questa o quella azienda, e a quel qualcuno concentrato a studiare l’adattamento delle cannucce al palato. Signori vestiti di bianco circondati da bicchieri e cannucce, tutto il giorno. Per migliorare un istante delle nostre giornate.
Così immaginerete la mia gioia quando ieri ho aperto la confezione merenda del latte Arborea e ho trovato un piccolo miracolo: una cannuccia completamente nuova, sigillata dal lato della suzione ma con quattro fori ellittici che aderiscono perfettamente all’arcata plantare e alla lingua, rilasciando quantità variabili di liquido.
Come un ebete, sorridevo alla cannuccia.
Che poi dico, mi piacesse almeno, il latte. Ma chisseneimporta.
Da ieri ho un nuovo momento di trascurabile felicità.
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Claroquesí. Cartoline dalla rivoluzione
Oggi esce Claroquesí . Cartoline dalla rivoluzione.
Lo pubblica Antonio Tombolini Editore, nella nascente collana Roads, guidata da Giulia De Gasperi, paziente, appassionata e professionalissima editor con cui tanto ne ho parlato, nelle nostre lunghe conversazioni oltre oceano – io a Torino, lei in una piccola isola a largo delle coste del Canada. Ci sono molto affezionata, per mille motivi: mi ha tenuto compagnia mentre prendeva corpo, nelle notti febbrili dopo il mio rientro dall’Isola, è diventato parole, e poi storie, e poi racconto prima nella mia mente, poi sulle pagine bianche di un foglio digitale, tra le dita che si muovevano sulla tastiera. Grazie ad alcuni amici, che oggi ringrazio (Antonio Cipriani e Valentina Montisci) è diventato un racconto d’estate di alcuni anni fa. E oggi, finalmente, è un libro, di cui sono orgogliosa, perché ha cambiato il modo con cui guardo il mondo, rendendolo ancora più umano, pieno dei dubbi che vivificano una vita e delle sorprese inaspettate che rendono il viaggio un’esperienza di cambiamento. Non so se qualcuno abbia mai detto che si scrive sempre perché qualcuno ci legga, prima o poi. Io – che normalmente scrivo per me stessa, come urgenza vivificante, e come modo di stare al mondo – penso che se non lo ha detto nessuno, qualcuno dovrebbe dirlo. Riprova ne è che il motore per la stesura di Claroquesí è stato il pensiero che a leggerli sarebbe stata una persona speciale, che mi aveva spinto a sgranare gli occhi sul mondo che avrei visitato per la prima volta. Oggi a questa persona va un pensiero e un ringraziamento, pubblicamente e discretamente, come noi sabaudi amiamo fare.
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Claroquesí è nato sette anni fa, dopo un viaggio dentro le mie convinzioni di giovane donna, militante e occidentale. È nato per il desiderio di mettere su carta i pensieri affiorati lungo la Carretera Central, dentro i negozi vuoti, i mercati razionati, il profumo di pane, la luce scarnificata delle città di notte ma anche dentro la musica allegra del ron, l’ospitalità degli sconosciuti, la condivisione del poco per tutti. Non un libro di viaggio, non un libro politico, non un romanzo, non una cronaca, ma tutte queste cose insieme. Per provare a intrecciare con la narrazione il possibile delle storie quotidiane e le zone d’ombra della Storia, nel limbo sospeso della fine del Periodo Especial. Un modo per raccontare disillusione, speranze e, soprattutto, un altro modo di stare al mondo.
Claroquesí è un grazie sincero, dedicato agli incontri piccoli e grandi che mi hanno restituito un presente più consapevole.
Se qualcuno volesse acquistare “Claroquesí. Cartoline dalla rivoluzione“, potrà farlo sullo store di Antonio Tombolini Editore (in formato carta e ebook) oppure su amazon.it