Tornare in Salento

Dopo vent’anni di Salento, le settimane a sud di Lecce non le considero ormai più vacanze, ma ritorni.
Il mio è un viaggio all’incontrario, un risalire verso radici del cuore più che del sangue, verso una condizione di adesione al naturale e al reale in cui reinventare il presente e vivificarlo, compreso quello che si svolge altrove.
Il Salento per me è incontro di affetti, è ritrovarsi nei luoghi e sotto lo sguardo del tempo che fa scorrere le stagioni, è rinnovare nel gusto i sapori che richiamano stagioni passate.

Questo viaggio è stato dunque un altro ritorno, pieno di ricci mangiati sugli scogli del porto vecchio di Novaglie, di gelsi rossi colti dalla siepe del muretto della casa a mare di Torre Chianca, di polpette di polpo della friggitoria sotto l’agrumeto, di pesci arrostiti sulla pietra lavica, del rumore del mare prima di dormire, delle lucette della festa di paese mentre tutti tutti ballano scalzi sul selciato, della cena in giardino nella campagna di San Cesario, a parlare di donne e amori, di case con le porte aperte che puoi entrare senza essere annunciato se non dai vicini, della luna grande sul mediterraneo, della Guardiola di notte che si affaccia sui faraglioni di quasi Leuca, dei vagoni della Sud Est sferragliante e torrida che mi porta a Tricase, del capotreno che si siede con me ad aspettare e a parlare della vita, del caffe in ghiaccio da Alvino, all’ombra di sant’Oronzo, di Luigi il professore che vengo a trovare da quando di anni ne avevo 18, riempiendogli casa di amici, chitarre, fidanzati, massimi sistemi fino a notte fonda sotto il pergolato, della piccola cana che mi dorme sui piedi come quando era cucciola, del profumo di iodio che senti quando scendi a Brindisi, del caldo umido della notte rinfrescato dal tramontana, del barocco illuminato di ombre brune che tengono compagnia al bicchiere notturno nel centro storico non ancora invaso di turisti, del giugno che promette, delle piante grasse fiorite di fiori mai visti, della bambina a cui raccontare un giorno tutto questo, degli appunti sotto l’ulivo, di rocce acuminate sotto i piedi, di un bagno da sola nella baia di Novaglie, nel blu cobalto che si prepara alla notte, del pittore che scopre il movimento nel sole accecante del mattino, della polvere sotto i piedi della strada demaniale, della casa in cui inviavo lettere di penna e in cui ora rivive la bimba che crescerà, dei passi solitari tra le porte storiche, delle soste in libreria, dell’abbraccio con le madri, di donne nuove che incontro per via,  del raccontarsi la vita dentro un crem caramel che viene dalla Spagna franchista, della commozione che nasce tra generazioni lontane, degli incroci impazziti nel traffico leccese,  dell’orizzonte in cui perdersi per ritrovarsi, dell’anima da ricomporre nel negroamaro, della vita che si sceglie a morsi, senza dare fastidio al destino, sedendosi accanto per aspettare l’ora bianca che precede il tramonto, in cui il giorno concede tregua ai sensi e spazio ai pensieri.

Il libro che sarà

Non amo particolarmente guidare.
Amo farlo però lungo le strade assolate della bassa Puglia, lungo il tacco dello stivale, in quel nugolo di strade che si fanno posto tra campi e muretti a secco, sotto il cielo basso di nuvole piene e orizzonti ampi. Mi piaccono gli ulivi che si rincorrono a destra e a sinistra, le campagne che ritornano verdi e stampano contrasti sui cieli di pioggia, il profumo di mare che arriva a tratti insieme agli odori della macchia, e che anche d’inverno stupisce l’olfatto.
Mi piace guidare verso le case delle persone a cui voglio bene, in questa terra che mi ha accolta e che mi restituisce il senso della possibilità, una terra in cui sta crescendo un progetto lungo e bello, fatto di donne, per le donne, con le donne.
Per questo io, S. e la piccola unenne A. ce ne siamo andate in giro a incontrare le protagoniste delle storie che vorremmo raccontare. Donne che hanno visto secoli diversi avvicendarsi, donne che hanno speso una vita in cui dentro ci stanno mille vite, donne lavoratrici e donne madri, perse nei campi di tabacco e nelle fabbriche, nelle cucine in penombra delle masserie e nel dolore dell’emigrazione, donne che sono tornate perdendo qualcosa, donne che hanno riscoperto la libertà con pazienza, aspettando che prima ce l’avessero tutti gli altri, donne che sono rimaste, donne che sono. E così siamo state a Corsano, a sentire le storie delle tabacchine di Ginosa e di chi è emigrata in Svizzera perché qui non c’era futuro. Siamo state a Guagnano a sentire le voci simbolo delle 250 donne che nel 61 scioperarono per il lavoro e per una emancipazione fatta di identità ancor prima che di possibilità. Siamo state a Corigliano d’Otranto dentro gli occhi di Angela che di anni ne ha 91 e siede all’ombra della masseria di suo figlio, con gli occhi che ridono nel pensare al destino come futuro, prima e al posto di ogni scelta possibile. Siamo state da Ulla e dentro il suo tempo di donna immigrata, straniera per amore, salentina per adozione, che ha fatto di una terra la sua casa, portandoci famiglia e cuore, e provando a costruirci il resto.
E siamo state in treno, sulla Maglie-Gagliano del Capo lungo la ferrovia Sud-Est, a cercare nei sedili di pelle e nei finestrini appannati di pioggia e umidità il senso di un antico passare per le campagne, tra paesi e vite, tra case cantoniere e rotaie lente come le nuvole.
Bello questo libro che nasce dentro i legami delle persone, che si alimenta di reti e di amici, che si estende nel tempo dentro il tempo delle persone, coinvolgendole in una storia che tutte ci riguarda.